presso la FACOLTA’ DI LETTERE dell’UNIVERSITÀ DI TOR VERGATA
Vincitori della II Edizione 2016
Sezione Archeologia – Fabrizio Vistoli
Sezione Arte – Massimo Campi
Sezione Cinema– Antonio Ciavoni
Sezione Giornalismo – Federica Graziani
Sezione Musica – Erika Zoi
Sezione Teatro – Edoardo Torricella
Rita Pomponio, l’ideatrice del Premio Jean Coste, durante la premiazione
I premiati delle varie Sezioni. Da sinistra: per il teatro, Edoardo Torricella; per l’Università (Menzione speciale) Giulia Giugiani; per l’Università (vincitrice) Chiara Tondolo; per il cinema, Antonio Ciavoni; per l’arte, Massimo Campi; per il giornalismo, Federica Graziani; accanto il presidente del Premio Jean Coste, Rita Pomponio; per l’archeologia Fabrizio Vistoli; per la musica, Erika Zoi.
Rita Pomponio e Claudia Gentili che ritira il Premio Jean Coste come miglior Dirigente scolastico dell’anno. Istituto comprensivo “Via Motta Camastra” .
I Padri Maristi mentre ritirano la targa in ricordo per il 90° anniversario della nascita di padre Jean Coste. Da sinistra: padre Alejandro Munoz, padre Justin Taylor e Tom Kouijzer.
Erika Zoi e Salvatore Corallo
Consegna delle medaglie ricordo del Premio Jean Coste ai partecipanti della scuola Media dell’Istituto comprensivo “Via Motta Camastra” .
<<A nome dei Padri e Fratelli Maristi a Roma vorrei ringraziare Rita Pomponio e tutta l’Associazione per questa bellisima initiativa. È molto ‘importante che il lavoro e lo spirito di padre Jean Coste viene trasmesso ad una nuova generazione.
La spiritualità di Jean Coste è la spiritualità della Società di Maria, una spiritualità che Jean Coste ha vissuto al meglio. Servizio, l’onestà e l’integrità erano caratteristiche della sua vita.
Io porto i saluti dei Padri Maristi a tutti i ragazzi che hanno partecipato al premio e auguro loro una continua crescita nelle virtù umane e intellettuale, seguendo le orme di padre Jean Coste. Che Dio vi benedica! Grazie mille!>>
DISCORSO DI RINGRAZIAMENTO DEL DOTT. FABRIZIO VISTOLI
Una consolidata prassi protocollare vuole, quando si ritira un premio, per di più prestigioso come questo, che si introduca il discorso con l’espressione: «sono lieto di essere qui tra voi», e che si prosegua poi con i ringraziamenti di prammatica, con un rapido ragguaglio delle ragioni per cui si è lusingati di essere premiati, ed infine con una dedica.
Tradizionale e conservatore come sono, non mi sottraggo a questo vero e proprio rituale.
Comincio, pertanto, col ringraziare l’Associazione “Roma Fuori le Mura”, il suo presidente Rita Pomponio, l’autorevole giuria che si è espressa in mio favore, l’Università degli studi di Roma-Tor Vergata nella persona del Magnifico Rettore prof. Giuseppe Novelli, e, non ultima, la Congregazione dei Padri Maristi (qui rappresentata da Padre Justin Taylor), sotto la cui egida si assegna questo importante riconoscimento.
Un riconoscimento che a mio parere indirizza, di per se stesso, un messaggio forte e positivo all’effimera e frenetica Società in cui viviamo, almeno per due ordini di motivazioni.
In primo luogo, perché pone al centro dell’attenzione collettiva tematiche culturali troppo spesso trascurate dalla contemporaneità (Lettere e Belle Arti).
Secondariamente, perché esso coinvolge anche le giovani generazioni, cercando di incentivarne l’amore per la ricerca storica e un certo qual senso identitario, oggi troppo spesso malauguratamente sopito.
Non a caso tale premio è intitolato alla memoria di un uomo, Padre Jean Coste, che nella sua lunga e proficua esistenza ha saputo coniugare evangelizzazione della borgate, sete di conoscenza e propagazione del sapere, trasfondendo «nei suoi allievi, rispetto verso gli altri e grande onestà intellettuale».
Non ho avuto l’onore di conoscere personalmente Padre Jean Coste. Ma mi era ovviamente nota la sua prolifica attività di ricerca incentrata – per larga parte – sul settore Est della Campagna Romana, sul territorio di Tivoli-valle dell’Aniene e sulla confinante Sabina meridionale. Avevo nozione, altresì, del fatto che fosse considerato – da taluni – «il vero rifondatore della Topografia storica».
Divulgata la notizia del conferimento a me del premio, sono rimasto veramente sorpreso nel riscontrare che i valori ai quali il premio stesso era ispirato corrispondevano pienamente a quelli ai quali ho conformato – negli anni – la mia attività di ricerca; valori inculcatimi da quello che considero il mio maestro, l’archeologo madonita Gaetano Messineo, scomparso anche lui da qualche tempo.
Su queste basi ho trovato giusto documentarmi meglio sulla personalità di Jean Coste, prendendo contatto con alcuni colleghi che furono in intima comunanza con Lui fin dai primi anni Sessanta del secolo scorso (Susanna Passigli, Zaccaria Mari e, non ultima, la stessa Rita Pomponio) o andando a rileggere le commemorazioni (per la verità non molte) redatte posteriormente alla sua dipartita, tra cui quella molto sentita e affettuosa di Maria Teresa Petrara e Maria Sperandio.
Al di là delle specifiche notazioni sul suo profilo scientifico, i brani che più mi hanno colpito in queste rievocazioni post mortem sono stati quelli in cui i suoi “biografi” ne hanno messo efficacemente in luce alcune esemplari qualità umane (estremo rigore, vivissima curiosità intellettuale, un fortissimo coinvolgimento emotivo e fisico in quello che faceva) clamorosamente coincidenti con quelle che hanno qualificato la vita e l’azione quotidiana di Gaetano Messineo.
Non voglio abusare troppo oltre della vostra paziente attenzione, ma mi siano consentite alcune riflessioni (corroborate da alcune citazioni tratte da ciò che è stato scritto di Lui) su quelle che personalmente considero i caratteri distintivi e salienti della personalità di “Padre Giovanni” (così era conosciuto e chiamato in Borgata) timidamente accostati – absit iniuria verbis – a quelli del «solidamente laico e aconfessionale» Messineo.
Due parole, innanzitutto, sul Metodo d’indagine di questi due «umanisti» (ovvero di studiosi di discipline che promuovono la dignità dell’Uomo), separati da poco meno di una generazione, ma estremamente affini nel «sentire» e nell’«operare».
I biografi di Jean Coste ricordano «la semplicità dei suoi mezzi (carte, bussola, macchina fotografica)» e la sua «diffidenza versi quei sistemi di ricerca troppo complicati che rendono difficile l’approccio alla disciplina archeologico-topografica ai non addetti ai lavori» (Mari).
Questa semplicità in Padre Jean Coste si coniugava con un’impareggiabile (cito) «abilità nell’indagare ogni tipo di documento», abilità (cito ancora) «mutuata dalla pratica dell’esegesi biblica, [che] lo portava a capire la genesi del dato topografico, procedendo a ritroso negli anni (metodo regressivo) e ricostruendo la situazione più antica a partire dagli atti e dalla cartografia più recente (Passigli)».
Spoglio sistematico delle fonti, lettura diretta dei documenti e delle carte, interpretazione etimologica dei termini e dei toponimi, confronto fra le fonti più diverse e verifica sul posto erano tra i principali fondamenti del metodo di Jean Coste (e anche di Gaetano Messineo): un metodo costruito e perfezionato nel solco dei grandi studiosi ottocenteschi e primo-novecenteschi della Campagna Romana quali Giuseppe Tomassetti, Thomas Ashby e Antonio Nibby.
Ambedue ponevano poi estrema attenzione alla documentazione scritta e alle Ricerche archivistiche quale indispensabili – e talvolta imprescindibili – premesse al lavoro “sul campo”. È per questo che entrambi hanno raccolto, nel tempo, un discreto patrimonio di appunti e materiali di ricerca (schede topografiche, foto, diapositive, libri, diari), oggi come un tempo sempre a disposizioni di colleghi, amici e ricercatori.
Altro elemento in comune è il riconosciuto valore attribuito alle Ricognizioni e alla sinergia tra discipline diverse nell’ottica di un significativo incremento di dati topografici e conoscenze spaziali su di un determinato territorio, preliminari allo studio sistematico (e condiviso) delle realtà del Passato.
In merito paiono illuminanti le seguenti parole di alcuni testimoni diretti dell’encomiabile «operosità» del religioso nella periferia capitolina: «Salvo alcune interruzioni, […] padre Coste si dedicò regolarmente alla ricognizione sui terreni che costituivano l’oggetto dei suoi studi. Dagli anni ’60, quando guidava i gruppi di giovani alla scoperta dell’agro romano, sino quasi al termine della sua vita, il pomeriggio della domenica lo vedeva puntare dritto allo scopo, sfruttando fino all’ultimo le poche ore che si concedeva per verificare le ipotesi messe a punto durante la settimana e/o formularne di nuove. In queste perlustrazioni non mancava mai di rivolgersi agli amici che lo accompagnavano per metterli al corrente degli obiettivi, per indicare loro la metodologia più efficace, per sollecitarne le riflessioni e il parere, che spesso accoglieva con l’umiltà propria dei grandi studiosi; e riusciva a coinvolgerli nelle sue ricerche, a comunicare loro un po’ del suo entusiasmo. Spesso metteva da parte momentaneamente i suoi studi per accompagnare tanti studenti nei loro sopralluoghi, esprimendo poi un’opinione risolutiva a imprimere la giusta direzione alle ricerche» (Petrara/Sperandio).
Questa naturale bonomia e disponibilità verso il prossimo genericamente inteso, a prescindere dai ruoli o dall’età anagrafica, individuano altri tratti assolutamente caratterizzanti le due personalità.
Padre Coste, così come Gaetano Messineo, non amava tenere per sé le sue scoperte, ma era sempre a disposizione di studenti, studiosi, appassionati e chiunque, in genere, fosse percepito essere seriamente interessato alla ricerca in campo storico. Entrambi, poi, spiegavano con grande naturalezza e precisione, avendo la non comune capacità di far rivivere nel presente personaggi e avvenimenti dei tempi lontani.
La facilità nell’entrare subito in rapporto con l’ascoltatore, il vivere la comunicazione come responsabilità di comprendere e trasmettere un patrimonio comune per la costruzione del sapere universale, erano alla base del successo delle pubbliche conferenze tanto dell’uno quanto dell’altro.
«Anche se preso da una molteplicità di impegni “istituzionali”, padre Jean Coste (e non dissimilmente Gaetano Messineo) non smise mai di divulgare le sue conoscenze ad ogni genere di pubblico interessato: dagli insegnanti di ogni ordine e grado, agli appassionati di storia locale […], alle guide turistiche di Roma e dintorni. Le sue (loro) conferenze, precise nel contenuto e brillanti nello stile espositivo, erano apprezzate sia in ambiente accademico che al di fuori di esso» (Petrara/Sperandio).
Un’ultima postilla desidero dedicarla al loro singolare approccio al mondo universitario e alla loro non convenzionale didattica «modulare» (sia Coste che Messineo furono anche, seppur per breve tempo, esimi cattedratici).
Agli studenti, infatti, essi non si limitavano a fornire generiche indicazioni bibliografiche e metodologiche, ma li assistevano costantemente, accompagnandoli fisicamente sul luogo delle loro ricerche, mettendoli in contatto con persone/colleghi che potessero aiutarli; soprattutto offrivano loro – disinteressatamente – il patrimonio delle proprie conoscenze.
Queste rievocazioni mi rendono molto più vicino a Jean Coste di quello che inizialmente credevo. Non perché i miei studi possano essere paragonati ai suoi (licet non est parva componere magnis), ma perché essi paiono uniformarsi alla medesima etica della ricerca scientifica che ho appreso da Messineo.
Molteplici sono infatti gli insegnamenti che devo a lui: ma credo che la nostra più che ventennale frequentazione intellettiva e professionale fosse sostenuta e determinata oltre che dallo smodato amore di entrambi per la storia e per l’archeologia della Città Eterna – in un certo qual senso la nostra patria di adozione –, anche e soprattutto dal comune sentire in relazione all’importante ruolo sociale e all’inderogabile funzione educativa dei cosiddetti indagatori del Passato.
Per lui, così come per me, infatti, e credo anche per Padre Jean Coste, lo studio delle antiche civiltà deve sì condurre all’acquisizione di un numero sempre maggiore di dati atti alla ricomposizione di determinati quadri culturali, ma questa pur utile attività di ricerca è destinata a perdere di significato se non accompagnata da una accorta meditazione sulle costanti dello spirito umano, o quando non sia indirizzata alla divulgazione tempestiva dei risultati di volta in volta conseguiti.
In questo Gaetano Messineo e Jean Coste hanno rivelato piena consapevolezza del mandato etico e civile attribuito ad ogni vero “uomo di scienza”, che mai dovrebbe rinunciare a diffondere – senza chiari intenti formativi – il patrimonio di nozioni di cui è entrato in possesso.
Maestri sapienti, accorti consiglieri, amici sinceri di molti di Noi qui presenti, Gaetano e Jean (mi sia consentito di chiamarli per nome) hanno sempre saputo operare ponendo al centro del loro agire «l’interessamento partecipe per le imprese altrui, il consiglio arguto, l’esortazione sorridente, lo scherzo leggero, il rabbuffo costruttivo, il tatto e la delicatezza».
È per questo che dedico a te, caro Gaetano, questo importante premio, sperando di non farti troppo sfigurare quaggiù! Grazie !